E’ causato dall’incapacità del cuore di garantire il corretto apporto di sangue a tutti gli organi e rappresenta una delle principali cause di morte nei Paesi del mondo occidentale: «Ritardare la progressione della malattia e prevenire i ricoveri in ospedale figurano tra i nostri obiettivi», spiegano il dottor Francesco Milone e la dottoressa Paola Lusardi.
Lo scompenso cardiaco rappresenta una delle principali cause di morte nei Paesi del mondo occidentale. E’ causato dalla sopraggiunta incapacità del cuore di assolvere alla normale funzione contrattile di pompa, necessaria a soddisfare il corretto apporto di sangue a tutti gli organi. Dopo i 65 anni di età rappresenta la prima causa di ricovero in ospedale e la sua prognosi viene spesso paragonata a quella delle neoplasie maligne.
Di recente la Cardiologia di Humanitas Gradenigo si è dotata di uno specifico ambulatorio sullo scompenso cardiaco, affidato alla dottoressa Paola Lusardi e al dottor Luigi Palumbo con il coinvolgimento dell’intera équipe. «E’ una patologia che riguarda pazienti gravi, fragili, spesso anziani e costretti a ripetuti ricoveri in ospedale per via del riacutizzarsi dei sintomi», conferma il dottor Francesco Milone, responsabile della Cardiologia di Humanitas Gradenigo.
«Questa patologia richiede elevate competenze specifiche – spiega la dottoressa Lusardi, attiva dal 1999 fino a luglio di quest’anno nell’analogo ambulatorio dell’Ospedale San Giovanni Bosco – e, tra le altre cose, presuppone anche una stretta collaborazione con il resto dell’ospedale». In particolare, il Pronto soccorso e il reparto di Medicina interna, sotto la responsabilità del dottor Giorgio Carbone, lavoreranno a stretto contatto con i cardiologi dell’ambulatorio e con i relativi pazienti.
L’ambulatorio che affronta lo scompenso cardiaco si propone come punto di riferimento essenziale nel percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale che attende il paziente. «I nostri obiettivi – prosegue la dottoressa Lusardi – consistono nel ritardare la progressione della cardiopatia, prevenire le riacutizzazioni e i ricoveri ospedalieri, migliorare la qualità e l’appropriatezza delle cure, l’appropriatezza dell’utilizzo dei farmaci e l’accessibilità ai servizi, garantire assistenza specifica al paziente con cardiopatia complessa, con polipatologie e all’anziano fragile, con assistenza di tipo palliativo nelle fasi avanzate e terminali della malattia». Un modello di cura che può contare sulla rete integrata multidisciplinare e multiprofessionale che coinvolge ospedale e territorio: «Garanzia della continuità assistenziale del paziente tra le fasi di stabilità clinica e le frequenti riacutizzazioni», precisa la dottoressa Lusardi.
L’organizzazione dell’ambulatorio che si occupa di scompenso cardiaco prevede tra le altre cose una valutazione comprensiva di ECG, visita cardiologica, ecocardiodiogramma mirato alla valutazione della congestione venosa polmonare e sistemica e alla stima della portata cardiaca, counselling infermieristico. L’attività infermieristica gioca un ruolo fondamentale all’interno dell’ambulatorio: «Fornisce una serie preziosa di informazioni e consigli e compie una serie di azioni che consentono al paziente e ai suoi familiari di gestire in modo adeguato la situazione anche al di fuori dell’ospedale, coinvolgendo nei tempi e modi opportuni gli altri soggetti impegnati nel percorso di cura». Tanta attenzione è motivata dalla prevalenza che lo scompenso cardiaco ha raggiunto nei Paesi industrializzati: «Si tratta di una vera e propria pandemia – aggiunge la dottoressa Lusardi -: riguarda il 2-3 per cento della popolazione generale e cresce in maniera esponenziale con l’età fino a raddoppiare a ogni decade» Una patologia in continuo aumento per via dell’invecchiamento della popolazione: «Ma anche – insiste – per il miglior trattamento della cardiopatia ischemica e dei fattori di rischio quali diabete e ipertensione nonché per il miglioramento della prognosi dei pazienti con scompenso conclamato».
L’incidenza dello scompenso cardiaco è complessivamente dell’uno per cento sopra i 65 anni e raggiunge il 4 per cento dopo gli 85 anni. «Anche il carico assistenziale ed economico generato da questa sindrome è elevato – osserva la dottoressa Paola Lusardi -. In Italia, i costi relativi alle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco incidono per oltre tre quarti della spesa totale legata alla sindrome e rappresentano con il loro 1,5 per cento una delle principali voci della spesa sanitaria complessiva». Per numero, i ricoveri legati a insufficienza e shock cardiaco sono secondi solo a quelli che riguardano il parto non complicato: circa un terzo di queste ospedalizzazioni avviene in un reparto di Cardiologia, mentre i restanti ricoveri avvengono in area medica (Medicina o Geriatria). «L’obiettivo è quello di seguire ancora più da vicino questi pazienti – conclude il dottor Milone – riducendo in modo sensibile la necessità di ricovero e fornendo loro un percorso che dalla dimissione li conduca direttamente al controllo ambulatoriale o all’assistenza domiciliare».